Energia da fonti rinnovabili
BIOCARBURANTI
Per ridurre le emissioni di CO2 derivanti dal trasporto aereo civile, un innovativo progetto dell’ENAC mira a produrre biocherosene tramite l’utilizzo di alghe microcellulari
12.07.2018
Testo dell’articolo
Il progetto mira ad assicurare, nel bilancio totale riguardante il ciclo di produzione e utilizzo finale, dei livelli di emissione di CO2 inferiori, rispondendo a criteri di sostenibilità stabiliti a livello internazionale.
Poiché l’ENAC può concedere contributi per l’attuazione di progetti di ricerca scientifica finalizzati a promuovere lo sviluppo dell’Aviazione Civile, nel 2017 l’Ente ha pubblicato un avviso di manifestazione di interesse rivolto alle Università e agli Enti di ricerca per individuare un progetto di ricerca, studio e sviluppo per la produzione e l’impiego di carburanti alternativi, derivanti dalla trasformazione di alghe microcellulari al fine di valutarne gli aspetti tecnici, la sostenibilità economica e i benefici conseguibili sul piano ambientale, per utilizzo al posto di un carburante di tipo fossile.
Il beneficiario del finanziamento ENAC è risultato il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin” dell’Università La Sapienza di Roma. Partecipano al progetto anche il Dipartimento di Biotecnologie dell’Università degli Studi di Verona e il Centro Ricerca Energie Alternative e Rinnovabili dell’Università degli Studi di Firenze.
Il team coinvolto possiede competenze che coprono tutte le aree e le fasi di sviluppo del progetto, dall’individuazione del ceppo di alghe con miglior rendimento per la produzione di olio, alla possibile messa in opera di un impianto dimostrativo per la produzione di biofuel, tenendo ovviamente conto degli aspetti di certificazione e safety (impiego in condizioni di sicurezza) legati all’utilizzo del biocarburante in questione nelle operazioni degli aeromobili civili.
Il progetto è rivolto principalmente alla produzione di biocherosene che potrà essere utilizzato in aviazione civile dagli operatori aerei che impiegano aeromobili civili da trasporto equipaggiati con motore a turbina, ma non è escluso, in una successiva fase di sviluppo, che possa portare a un prodotto eventualmente utilizzabile anche per la produzione di biodiesel fruibile per altri tipi di trasporto.
Il progetto attualmente è in fase di sviluppo ed è suddiviso in due fasi:
– una prima fase (da concludersi entro il 2018) di identificazione di microrganismi ottimizzati per le diverse fasi del processo e la produzione di una piccola quantità di olio;
– una seconda fase (della durata di 3-4 anni) dedicata alla realizzazione di un impianto pilota.
Coniugare la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie a favore della crescita del settore con l’impegno attivo per contribuire ad una mobilità sostenibile, è un tema che rappresenta oggi una delle sfide più significative che il settore del trasporto aereo deve affrontare e vincere per dare risposta alla crescente domanda che viene dai cittadini, dall’economia, dal turismo e, più in generale, da tutti i settori produttivi di beni e servizi.
Testo redatto su fonte ENAC del 23 maggio 2018
Image credit: Pascal MAILLOT/AIRLINERS.NET
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
COMBUSTIBILI RINNOVABILI
Progetto Residue2Heat: ridurre le emissioni di gas ad effetto serra e riciclare le ceneri con il bio-olio ottenuto per pirolisi veloce di biomasse per il riscaldamento residenziale
15.12.2017
Testo dell’articolo
Tramite il recupero e il riciclo delle ceneri durante la produzione di olio da pirolisi, è possibile ottenere effetti ambientali positivi. Le presenti indagini hanno mostrato che le ceneri ottenute durante il processo di produzione del bio-olio sembrano avere effetti positivi sulla crescita delle piante in esperimenti su piccola scala. Inoltre, le proprietà fisiche e chimiche di tali ceneri sembrano simili a quelle derivanti da altri tipi di ceneri. Uno dei possibili vantaggi potrebbe essere la loro applicazione come ammendante per terreni agricoli.
Inoltre, è stata elaborata un’analisi del rischio di sostenibilità per la produzione di olio da pirolisi basata sui residui forestali e la combustione in una caldaia domestica di piccola scala. In tale analisi sono state incluse varie materie prime, quali paglia di cereale, cortecce e miscanthus. In principio, tutte le materie prime analizzate possono essere applicate in modo sostenibile per il riscaldamento residenziale attraverso il bio-olio. Sono stati identificati alcuni possibili rischi che devono essere monitorati e tenuti in considerazione nell’applicazione di tali materie prime, ad esempio mediante certificazione della sostenibilità:
• stock di carbonio: mantenere bilanciato il tenore di carbonio nei suoli in seguito alla raccolta;
• cambiamento indiretto della destinazione dei terreni: la coltivazione non deve sostituire la produzione alimentare;
• biodiversità: mantenere la qualità del suolo e i nutrienti quando si utilizzano i residui di biomassa;
• uso a cascata delle biomasse: applicare le biomasse (residue) per i prodotti e il consumo diretto di energia.
L’intero potenziale dell’olio da pirolisi ottenuto dai residui di biomassa per il riscaldamento residenziale sarà ulteriormente esplorato nel progetto Residue2Heat. L’obiettivo a lungo termine del progetto Residue2Heat è produrre il bio-olio attraverso i residui agricoli e forestali che non possono essere usati per la produzione di alimenti e mangimi e non comportano un cambiamento indiretto della destinazione dei terreni. L’approccio concettuale mira a ottenere biomasse locali, convertirle in bio-olio in strutture produttive relativamente piccole con una capacità di trasformazione tra le 20.000 e le 40.000 t di biomassa all’anno e distribuire il combustibile a livello locale ai consumatori finali.
Il consorzio del progetto Residue2Heat
Il progetto di ricerca dell’Unione europea “Residue2Heat” combina lo sviluppo delle tecnologie produttive nella produzione di combustibili rinnovabili con lo sviluppo di sistemi di riscaldamento per il mercato residenziale. Il consorzio è composto da tre Università, tre istituti di ricerca e tre piccole e medie imprese provenienti da cinque diversi paesi:
• RWTH Aachen University (coordinatore del progetto, DE)
• OWI Oel-Waerme-Institut GmbH (coordinatore tecnico, DE)
• BTG Biomass Technology Group B.V. (NL)
• VTT Technical Research Centre of Finland Ltd. (FI)
• MEKU Energie Systeme GmbH & Co. KG (DE)
• IM-CNR Istituto Motori, Consiglio Nazionale delle Ricerche (IT)
• PTM Politecnico di Milano (IT)
• BTG BioLiquids B.V. (NL)
• UIBK University of Innsbruck, Institute of Microbiology (AT)
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 13 dicembre 2017
Per approfondimenti sul progetto: www.residue2heat.eu
Image credit: Applied Physics Laboratory – Istituto Motori/CNR
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
IMPIANTI FOTOVOLTAICI
CNR: il FV vale 200 GW di elettricità, restituisce fino a 50 volte l’energia impiegata per realizzarlo e coprirebbe il fabbisogno UE con una superficie inferiore allo 0,6%
23.10.2015
Testo dell’articolo
Questo scenario emerge da un ampio studio sul fotovoltaico e sull’energia solare che i ricercatori CNR hanno presentato nell’articolo “The great solar boom: a global perspective into the far reaching impact of an unexpected energy revolution” pubblicato su Energy Science & Engineering. La ricerca, in particolare, spiega come lo sfruttamento dell’energia solare sia un’alternativa ormai pronta per una transizione energetica che consenta di conciliare crescita dell’economia globale e risanamento ambientale, risolvendo nel contempo il dilemma fra possibile carenza di petrolio, aumento dei costi di estrazione degli idrocarburi e crescita della popolazione.
I vantaggi e i costi della tecnologia, evidenzia lo studio, sono chiari: l’elettricità da fotovoltaico è venduta a prezzi inferiori a quella da fonti convenzionali, anche senza incentivazioni e non soltanto nei Paesi più soleggiati, ma persino in Francia che è il Paese con la maggiore penetrazione del nucleare a livello globale. La disponibilità crescente di elettricità ottenuta dalla fonte solare durante le ore di punta ha fatto crollare il costo del kWh nei Paesi più solarizzati come Germania e Italia, in cui la componente dovuta alla generazione fotovoltaica ha pesato molto più della crisi della domanda. Con l’impianto installato nel 1984 nell’isola di Vulcano, l’Italia ha dimostrato come la tecnologia fotovoltaica per generazione elettrica fosse affidabile e robusta, registrando, in oltre 30 anni di esercizio, una perdita di produzione pari a solo il 6%.
Affinché però essa possa davvero diventare una tecnologia ad ampia diffusione, l’ultimo problema da superare è quello relativo all’accumulo necessario a rendere disponibile l’elettricità fotovoltaica quando minore o nullo è l’irraggiamento solare, ossia in inverno e durante le ore notturne. Un aspetto fondamentale questo in una prospettiva di sostituzione dei combustibili fossili, sia nell’ambito del riscaldamento degli edifici (con le pompe di calore) che nel trasporto pubblico e privato (mediante tram, treni ed auto elettriche). Tuttavia, l’ostacolo dell’accumulo è già in fase di superamento grazie alla rapidissima evoluzione tecnologica di batterie e celle a idrogeno che, in quanto a capacità e costi, seguono i recenti progressi raggiunti dall’industria fotovoltaica.
Testo redatto su fonte CNR del 16 ottobre 2015
Per approfondimenti: The great solar boom: a global perspective into the far reaching impact of an unexpected energy revolution – Energy Science & Engineering | 07.10.2015
Image credit: Anusorn P nachol/FreeDigitalPhotos.net, 2012
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
COMBUSTIBILI RINNOVABILI
In Italia il primo impianto al mondo che, sfruttando la tecnologia SOFC per produrre energia, sarà alimentato dal biogas ottenuto dalla depurazione delle acque reflue
26.09.2015
Testo dell’articolo
Primo di taglia industriale in Europa, questo impianto sarà anche il primo al mondo ad essere alimentato dal biogas (un combustibile rinnovabile) prodotto dalla digestione anaerobica dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane.
Con un budget complessivo di circa 5,9 milioni di euro (4,2 milioni di euro sono finanziati dall’Unione Europea nell’ambito del programma Horizon 2020), il progetto prevede un partenariato formato da due aziende e tre istituti di ricerca europei: Politecnico di Torino (Italia), Teknologian Tutkimuskeskus VTT (Finlandia) e Imperial College of Science, Technology and Medicine (Inghilterra).
Con l’impiego di tre moduli fuel cell, l’impianto DEMOSOFC sarà in grado di produrre in cogenerazione 175 kW elettrici e 90 kW termici, con un’efficienza elettrica del 53%, garantendo la fornitura di circa il 30% del fabbisogno elettrico del sito (attualmente coperto interamente dalla rete) e del 100% del fabbisogno termico. Le SOFC utilizzate dal sistema, che verrà installato nell’impianto di trattamento acque reflue di Collegno (TO), funzionano a circa 800°C e possono essere alimentate anche direttamente a gas metano o a biogas.
DEMOSOFC si basa sui risultati ottenuti con SOFCOM, il progetto pilota, recentemente concluso e sempre coordinato dal Politecnico di Torino, che nasceva dalla necessità di rendere produttivo dal punto di vista energetico la depurazione delle acque di scarico. Un processo questo che, applicando il procedimento messo a punto dal progetto (che ha visto la realizzazione di un primo prototipo funzionante a scala ridotta), permette non solo di ottenere energia elettrica e calore (caratteristica di un sistema cogenerativo), ma anche altri due “prodotti”: acqua pulita e il ri-fissaggio del contenuto di carbonio del combustibile primario (biogas) in forma di biomassa (alghe) che può essere reimpiegata.
Dopo aver separato dal biogas lo zolfo e gli altri contaminanti, viene avviata la reazione negli elettrodi di cella, la quale consente di produrre energia elettrica con un’efficienza fino al 50% (per confronto, a pari condizioni di taglia, quella di una macchina termica si attesta intorno al 30-35%). Il sistema poi è cogenerativo, in quanto consente inoltre il parziale recupero del calore prodotto dalla cella.
L’impianto prototipo dimostra che i sistemi SFC (Smart Fuel Cell) possono rappresentare un importante riferimento per i sistemi energetici del futuro, che saranno caratterizzati dall’uso di combustibili rinnovabili, altissima efficienza di conversione elettrica, recupero totale delle sostanze utilizzate (carbonio, idrogeno, ossigeno), e che potenzialmente tenderanno a realizzare un funzionamento di poli-generazione (heat&power + chemicals).
Inoltre, ad esempio, mentre i fumi di una macchina a motore termico hanno la CO2 “annegata” in un grande volume di azoto, con conseguenti maggiori difficoltà per la sua sequestrazione, in una cella SOFC gli esausti anodici, cioè gli scarti del processo, sono già privi di azoto. Ciò consente un recupero più semplice della CO2 (che può essere separata facilmente dall’acqua con cui è miscelata) e il suo impiego per il ri-fissaggio del carbonio in forma di biomasse.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 24 settembre 2015
Per approfondimenti su DEMOSOFC: www.demosofc.eu
Image credit: Politecnico di Torino, 2015
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DA FONTI INTEGRATE
Realizzato il primo impianto al mondo a biomassa forestale per surriscaldare il vapore di una centrale geotermica, in grado di fornire una potenza aggiuntiva di 5 MW
05.09.2015
Testo dell’articolo
Grazie alle biomasse di origine forestale (prodotte in un raggio di 70 km calcolato in linea d’aria dalla collocazione dell’impianto) il vapore in ingresso alla centrale viene surriscaldato, passando da una temperatura iniziale di 150-160° C ad una di 370-380° C. Questo aumenta la potenza netta per la produzione di elettricità sia per la maggiore entalpia del vapore, sia per il rendimento del ciclo legato alla minore umidità nella fase di produzione. La potenza aggiuntiva di 5 MW incrementa la producibilità di oltre 30 GWh/anno, evitando l’immissione in atmosfera di oltre 13.000 tonnellate di CO2/anno.
L’innovazione tecnologica di questo impianto integrato geotermia/biomasse rappresenta un importante passo in avanti per il futuro dell’energia da fonti rinnovabili poiché comporta un impatto ambientale vicino allo zero, e integra un insediamento industriale già esistente, mantenendo la totale rinnovabilità delle risorse e del ciclo.
Testo redatto su fonte ENEL del 27 luglio 2015
Image credit: Enel Green Power
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
ISWEC, il primo convertitore italiano per la produzione di energia elettrica che sfrutta il moto ondoso grazie alla tecnologia innovativa del suo sistema giroscopico
30.08.2015
Testo dell’articolo
ISWEC nasce dalla consapevolezza dell’enorme potenziale energetico del moto ondoso come fonte di energia rinnovabile, grazie alla continuità e alla distribuzione del mare sul globo. La potenza disponibile, normalmente riferita all’unità di lunghezza del fronte d’onda, varia dai 25 kW/m nell’Europa del sud (Isole Canarie), fino a 75 kW/m delle coste irlandesi e scozzesi. Anche nel Mar Mediterraneo la potenza disponibile è significativa ed è compresa tra 4 e 11 kW/m. Estraendo soltanto il 5% del potenziale tecnico di risorsa disponibile per l’Europa (320 GW), l’energia da moto ondoso potrebbe fornire elettricità a 12 milioni di case.
La tecnologia è stata sviluppata seguendo le direttive della Blue Growth Strategy indicate dalla Commissione Europea per supportare lo sviluppo sostenibile nel settore marittimo. La centrale di energia è composta da un gruppo giroscopico alloggiato all’interno di un galleggiante ormeggiato sul fondale marino. L’interazione tra le onde del mare, lo scafo e il sistema giroscopico all’interno permette la generazione di energia elettrica da immettere in rete. Rispetto agli altri sistemi in fase di sviluppo in Europa, ISWEC si distingue per l’assenza di organi in moto relativo in acqua poiché tutto il gruppo di conversione è alloggiato in un ambiente stagno all’interno del corpo galleggiante. Il suo impatto ambientale è quindi estremamente ridotto in quanto non richiede per il suo funzionamento vincoli fissi sul fondale, ma solo di un ormeggio per l’adattabilità alle diverse condizioni d’onda che ne incrementano la produttività.
La collaborazione con l’ENEA ha permesso di identificare il sito di installazione più idoneo, consentendo al sistema energetico di adattarsi alla variazione delle caratteristiche meteomarine per ottimizzarne la produttività. In una prima fase di esercizio il sistema non sarà però connesso alla rete elettrica dell’isola, ma dissiperà su un array di resistenze: nel periodo di settembre/ottobre si provvederà alla posa del cavidotto ed alla successiva connessione alla rete di distribuzione.
ISWEC consentirà di produrre energia elettrica ad un costo più competitivo rispetto a quello necessario per produrre elettricità sull’isola di Pantelleria. Obiettivo del progetto è infatti quello di portare il costo di produzione dell’energia elettrica ottenuta dal moto ondoso allo stesso costo dell’energia ottenuta da fonti tradizionali. Per le isole minori, Mediterranee e non, che non sono connesse direttamente alla rete elettrica continentale, questa tecnologia rappresenta un potenziale valido complemento al loro mix energetico. (Image credit: PoliTO/Wave for Energy)
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 5 agosto 2015
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DA BIOMASSE
L’ENEA sta puntando su ricerca e innovazione per ridurre i costi, dimezzare i tempi di produzione del biogas, abbattere gli inquinanti e incrementare le rese energetiche
25.08.2015
Testo dell’articolo
Risultati molto promettenti sono stati ottenuti utilizzando funghi ruminali, assieme ai microrganismi responsabili della fermentazione anaerobica, per produrre biogas da paglia, ricca di cellulosa, con rese in metano aumentate fino al 68% rispetto a quanto prodotto da un processo convenzionale.
Per incrementare la produzione di biogas e, allo stesso tempo, ridurre i costi di produzione della biomassa sono state sfruttate le potenzialità fertilizzanti del digestato, un sottoprodotto della digestione anaerobica, per far crescere colture di microalghe da utilizzarsi per ottenere nuovo biogas dopo il riciclo dei nutrienti.
L’obiettivo della ricerca è quello di migliorare l’efficienza di conversione in biogas, per la co-generazione di elettricità e calore, mediante la valorizzazione energetica di una più ampia varietà di biomasse, come alghe, scarti lignocellulosici e specie vegetali coltivabili in terreni marginali, e lo sviluppo di nuovi sistemi decentralizzati di piccola-media taglia. Per questo l’ENEA sta conducendo numerose attività di ricerca e sviluppo sulle tecnologie per la clean-up e l’upgrading del biogas e del syngas, con l’obiettivo di arrivare alla loro validazione in impianti pilota su cui testare processi, materiali e componenti innovativi.
I biogas ottenuti potranno anche essere utilizzati per l’immissione come biometano nella rete di distribuzione del gas dopo aver subito un trattamento di pulizia e purificazione. Allo scopo le attività dei ricercatori si sono rivolte verso la rimozione dei contaminanti come l’idrogeno solforato (H2S), in modo da ottenere un biocombustibile gassoso, costituito da metano praticamente puro (97-99%). Sono stati studiati e sperimentati sistemi di pulizia di tipo sia chimico-fisico, sia biologico, arrivando anche all’abbattimento totale dell’H2S, per un biogas con contenuto di inquinante intorno a 400 p.p.m. (parti per milione).
Nella trasformazione del biogas in biometano (upgrading), l’attenzione è stata rivolta sia ai processi basati sull’assorbimento della CO2 in soluzioni di ammine in fase organica, che limitano la corrosione degli impianti e i consumi di energia rispetto a quelli attualmente in uso, sia a quelli basati sulla formazione/dissociazione selettiva di gas idrati che consentono di arrivare ad una miscela con un contenuto in metano pari all’80% in un solo passaggio.
Nel Centro ENEA della Trisaia è stato studiato e sperimentato su un impianto pilota un processo per la conversione in metano (bio-SNG) del syngas ottenuto dalla gassificazione di biomasse lignocellulosiche, basato sull’azione combinata di sorbenti per la cattura della CO2.
Presso il Centro Ricerche ENEA di Saluggia sono stati invece effettuati test sperimentali per l’abbattimento delle emissioni di inquinanti dagli impianti di combustione delle biomasse: grazie allo sviluppo di filtri ceramici innovativi di tipo “wall-flow” in carburo di silicio, attivati con un catalizzatore a base di ferrite di rame, i test hanno dimostrato elevate efficienze (> 92%) di riduzione del particolato fine nei fumi di combustione di caldaie alimentate a biomasse legnose. I filtri sono poi rigenerati a intervalli prestabiliti mediante un dispositivo a microonde che, operando direttamente sul filtro, consente di ridurre i tempi necessari per la rigenerazione e i relativi consumi di energia. (Image credit: Vito Pignatelli/ENEA)
Testo redatto su fonte ENEA del 16 luglio 2015
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
PEWEC: dispositivo ENEA con tecnologia smart e low cost per produrre energia elettrica dalle onde del mare, soluzione particolarmente interessante per tante isole italiane
08.07.2015
Testo dell’articolo
Lo sfruttamento dell’energia dalle onde presenta diversi vantaggi: basso impatto ambientale e visivo, minore variabilità oraria e giornaliera e variazione stagionale favorevole (in considerazione del fatto che il potenziale dell’energia dalle onde è più alto in inverno quando i consumi energetici sono massimi). Tali caratteristiche rendono questo tipo di energia rinnovabile particolarmente vantaggiosa anche rispetto all’energia eolica e fotovoltaica.
Per Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di Modellistica Climatica e Impatti dell’ENEA, questo sistema low cost di produzione di energia dal mare è particolarmente interessante per le tante isole italiane, dove la fornitura di energia è attualmente garantita da costose e inquinanti centrali a gasolio: una decina di questi dispositivi possono produrre energia elettrica per un paese di 3.000 abitanti. Ciò contribuirebbe in modo significativo anche a contrastare i fenomeni di erosione attraverso la riduzione dell’energia delle onde che si infrangono sulla costa, senza impattare in maniera significativa su flora e fauna marine.
Sempre secondo Sannino, in Italia sta crescendo l’interesse per la produzione di energia pulita e rinnovabile da onde e maree e secondo il Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili dovremmo installare una potenza di 3 MW di questo tipo di impianti entro 2020. L’energia marina rappresenta una reale opportunità di favorire la crescita economica e l’occupazione, migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e, soprattutto, aumentare la competitività attraverso l’innovazione tecnologica. (Image credit: ENEA)
Testo redatto su fonte ENEA del 7 luglio 2015
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
COMBUSTIBILI RINNOVABILI
Coordinato dal Politecnico di Torino, il progetto SOFCOM mira a rendere produttivo, dal punto di vista energetico, il processo di depurazione delle acque di scarico
03.04.2015
Testo dell’articolo
Come spiega Massimo Santarelli, docente del Dipartimento Energia del Politecnico di Torino e coordinatore del progetto, “il prototipo messo a punto prevede la realizzazione di un sistema energetico integrato basato sull’utilizzo di combustibili rinnovabili (biogas da digestione anaerobica e syngas da gassificazione di biomassa) in generatori elettrochimici ad alta efficienza organizzati in configurazione poli-generativa, con recupero completo della CO2 e riutilizzo del Carbonio”.
La parola SOFC (Solid Oxide Fuel Cell) è riferita alla particolare tecnologia di celle a combustibile impiegata, ovvero le celle a combustibile ad ossidi solidi che funzionano a circa 800°C e che possono essere alimentate anche direttamente a gas metano o a biogas (come nel progetto SOFCOM). Le SOFC rappresentano la tecnologia più efficiente tra le varie tipologie di fuel cell disponibili.
Il cuore del sistema è costituito infatti dalla cella combustibile a ossidi solidi che lavora ad alta temperatura e trasforma il biogas, prodotto dal processo bio-chimico finalizzato alla depurazione dalle acque di scarico che confluiscono nei depuratori, in energia elettrica attraverso un procedimento elettrochimico a efficienza maggiore rispetto a quelli tradizionali basati su una macchina termica. Partendo dal biogas – un combustibile rinnovabile – si procede alla separazione dello zolfo e di altri contaminanti, per poi avviare la reazione negli elettrodi di cella che permette di produrre energia elettrica ad alta efficienza (fino al 50% quando di solito a pari condizioni di taglia una macchina termica si attesta intorno al 30-35%). Il sistema è cogenerativo, in quanto consente inoltre il parziale recupero del calore prodotto dalla cella.
Da un punto di vista di strategia energetica, il prototipo dimostra come i sistemi SFC (Smart Fuel Cell) possano rappresentare una importante chiave di volta per i sistemi energetici del futuro, basati su combustibili rinnovabili, altissima efficienza di conversione elettrica e recupero totale delle sostanze utilizzate (carbonio, idrogeno, ossigeno), potenzialmente tendenti a realizzare un concetto di poli-generazione (heat&power + chemicals).
Inoltre, mentre i fumi, ad esempio, di una macchina a motore termico, vedono la CO2 “annegata” in un grande volume di azoto, con conseguenti maggiori difficoltà per la sua sequestrazione, in una cella SOFC gli esausti anodici, cioè gli scarti del processo, sono già privi di azoto. Questo permette un recupero più semplice della CO2 che può essere separata facilmente dall’acqua con cui è miscelata. Il flusso di CO2 viene così recuperato per il ri-fissaggio del carbonio in forma di biomasse.
Il progetto SOFCOM prevede l’applicazione di questa cella ad altissima efficienza agli impianti di trattamento delle acque. Il prototipo torinese infatti è installato in uno di questi impianti, fra i più grandi d’Europa, che comportano flussi di acqua ricche di nitrati e fosfati. Questi flussi di acqua vengono ripuliti con il passaggio in un foto-bio-reattore in cui si effettua la crescita di colture di alghe, che si nutrono di CO2 recuperata dal processo oltre che di nitrati e fosfati.
Questo ultimo passaggio completa il processo, che parte da un combustibile rinnovabile come il biogas, produce energia elettrica di alta efficienza, permette il recupero del calore e utilizza la CO2 per il trattamento delle acque.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 27 marzo 2015
Per approfondimenti su FCH JU: www.fch-ju.eu
Image credit: PoliTO
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
IMPIANTI EOLICI
L’IBIMET-CNR sviluppa un metodo per prevedere la producibilità degli impianti eolici, ed evitare così costi elevati di progettazione e localizzazione dei siti più idonei
Pubblicato il 12.03.2015
Leggi il contenuto
“L’intensità di turbolenza (I) di un sito è data dal rapporto tra la deviazione standard della velocità del vento (u) e il valore medio della velocità del vento (v), cioè dalla misura di quanto il valore istantaneo di v si discosti da quello medio”, spiega Gualtieri. “In campo eolico è un parametro fortemente critico, in quanto al suo aumentare crescono anche: i carichi sulle turbine, che ne riducono il ciclo di vita, le perdite dell’energia prodotta e l’incertezza nella stima della produttività. Non a caso, tra i requisiti costruttivi cui le turbine in commercio devono ottemperare secondo le norme europee, uno dei più importanti è proprio la resistenza all’intensità di turbolenza del sito a cui sono destinate”.
Con la ricerca dell’IBIMET-CNR questo parametro – per la prima volta in campo eolico – è stato invece trattato come un fattore positivo. “Processando due anni di dati (2012–2013) della torre anemometrica di Cabauw (Olanda) ad altezze comprese tra 10 e 80 m, I è risultata fortemente correlata all’esponente del ‘wind shear’, cioè al profilo verticale della velocità del vento”, prosegue il ricercatore. “C’è da considerare che, mentre il wind shear richiede misure fino ad altezze anche superiori ad 80-100 metri, l’intensità di turbolenza è un dato di superficie per il quale sono sufficienti misure a 10-20 m. In sostanza, il risultato del nostro lavoro consiste nel prevedere l’andamento a quote difficilmente raggiungibili con strumentazione dai costi contenuti a partire da semplici misure a terra: un vantaggio evidente, in fase di progettazione di un impianto eolico”.
Il metodo proposto ha fornito buoni risultati nel calcolo sia della velocità del vento (v) sia della densità di potenza (P). “Applicato tra i 10 e gli 80 m, il metodo ha rivelato errori compresi tra il 4 e 7% per v, e tra il 3 e l’8% per P”, conclude Gualtieri. “Su una gamma di 15 aerogeneratori tra quelli disponibili in commercio con altezze del mozzo dell’ordine di 40 m, ha fornito un errore nella stima della producibilità energetica tra il 4.1 e il 6.2%. Su un set più ampio di 40 turbine con altezze del mozzo a 80 m, l’errore è risultato compreso tra il 6.2 e il 14.5%. Si tratta di risultati di grande interesse a livello applicativo, progettuale ed industriale”.
Testo redatto su fonte CNR del 10 marzo 2015
Per approfondimenti: Surface turbulence intensity as a predictor of extrapolated wind resource to the turbine hub height, DOI: 10.1016/j.renene.2015.01.011 – Renewable Energy | 06.2015
Image credit: Siemens
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
Progetto MARINET: presso l’INSEAN-CNR sono stati completati i test di prova del più grande modello di turbina mai sperimentato al mondo in un bacino idrodinamico
13.12.2014
Testo dell’articolo
Grazie alle notevoli dimensioni del bacino rettilineo (470 m di lunghezza, 13,5 m di larghezza e una profondità di 6,5 m), i test hanno permesso, di indagare e documentare con accuratezza fenomeni come l’interazione tra le pale della turbina e la superficie dell’acqua, finora semplicemente osservati nel corso di prove in mare dai ricercatori della Queen’s University di Belfast – istituzione partner del progetto – a Portaferry, a sud di Belfast. Ora è stato possibile confrontare le prestazioni dello stesso modello sia in condizioni reali, sia nell’ambiente controllato. L’Europa è all’avanguardia nel campo della ricerca e delle tecnologie per la produzione di energie pulite dal mare. La Comunità, a fronte di una stima di produzione di energia marina di 3,6 GW entro il 2020, si pone l’obiettivo di arrivare a ben 188 GW, oltre 50 volte tanto, entro il 2050, un valore pari al 15% del consumo totale UE. L’International Energy Agency ha stimato per il 2050 una produzione di energia mondiale proveniente dall’ambiente marino di circa 750 GW, di cui almeno 100 derivanti dai mari che circondano i paesi europei. (Image credit: CNR)
Testo redatto su fonte CNR/Francesco Salvatore/Marina Landolfi del 10 dicembre 2014
Per approfondimenti: www.fp7-marinet.eu
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
ENEA: grazie allo sviluppo di tecnologie avanzate per lo sfruttamento dell’energia dal mare, l’Italia potrà contribuire a ridurre la dipendenza dell’Europa dalle fonti fossili
01.07.2014
Testo dell’articolo
La configurazione geografica della penisola italiana, con i suoi 8.000 chilometri di costa, rende il nostro Paese uno dei membri dell’Unione maggiormente in grado di cogliere i vantaggi dello sfruttamento di questa fonte di energia alternativa che ad oggi costituisce appena lo 0,02% della domanda europea. Inoltre, gli incentivi messi in campo dal Governo per favorire la produzione di elettricità da impianti di energia oceanica, potranno contribuire ad un’accelerazione tecnologica anche in questo settore.
Rispetto a fonti più consolidate, in Italia lo sfruttamento energetico di onde, correnti e maree si è sviluppato soltanto negli ultimi anni grazie alla realizzazione di impianti e dispositivi sperimentali in grado di ricavare il massimo del potenziale energetico dal Mediterraneo che, a causa della sua specificità di mare chiuso, richiede tecnologie diverse rispetto a quelle utilizzate nel Nord Europa per catturare l’energia degli oceani. Vari sistemi messi a punto nel nostro Paese hanno ormai raggiunto una maturità scientifica e tecnologica che, nel breve periodo, li renderà competitivi sui mercati.
In apertura della prima giornata del workshop “Energia dal mare: le nuove tecnologie per i mari italiani” tenutosi a Roma, Giovanni Lelli, Commissario dell’ENEA, ha dichiarato: “L’elaborazione di una strategia in grado di stimolare l’energia blu è uno degli obiettivi per il rilancio dell’economia e dell’occupazione in Europa. Produrre energia dal mare attraverso tecnologie avanzate che utilizzino in maniera sostenibile le risorse marine richiede lo sviluppo di sinergie tra mondo delle imprese e centri di ricerca. Anche grazie alla realizzazione e alla commercializzazione di nuovi dispositivi per lo sfruttamento energetico dell’ambiente marino, l’Italia potrà concorrere a ridurre la dipendenza dell’Europa dalle fonti fossili e a salvaguardare l’ecosistema del Mediterraneo, che è uno più fragili del Pianeta”.
Al workshop, organizzato nell’ambito dell’Accordo di Programma tra il Ministero dello Sviluppo Economico e l’ENEA sulla Ricerca di Sistema Elettrico, hanno partecipato GSE, RSE, ENEL Green Power, Terna, CNR, Politecnico di Torino, Università Mediterranea di Reggio Calabria, Università di Bologna, Università di Napoli, Politecnico di Milano, WaveEnergy, 40South Energy Group, Wave4Energy e SEAPOWER.
Testo redatto su fonte ENEA del 1° luglio 2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
IMPIANTI FOTOVOLTAICI
Ricercatori del Politecnico di Milano hanno ideato e sviluppato un nuovo sistema di monitoraggio degli impianti fotovoltaici basato sull’utilizzo dei droni
17.06.2014
Testo dell’articolo
L’azienda con cui il gruppo di ricerca ha un progetto di collaborazione sul monitoraggio del fotovoltaico è la torinese Nimbus, attiva da anni nel settore dei velivoli senza pilota e che ha già ottenuto diversi Permessi di Volo dall’ente regolatore ENAC. Il valore aggiunto del sistema consiste nella possibilità di utilizzare contemporaneamente sensori diversi e di poterli combinare a piacere a seconda delle necessità, per una corretta e rapida identificazione del guasto o altra anomalia. I moduli fotovoltaici sono infatti componenti chiave degli impianti fotovoltaici perché responsabili della conversione della radiazione solare in energia elettrica. Un buon monitoraggio dei moduli risulta quindi cruciale per una tempestiva ed efficace manutenzione dell’impianto, così da ottenere le migliori prestazioni possibili e programmare al meglio attività di manutenzione straordinarie o eventuali revamping dell’impianto.
I difetti dei moduli fotovoltaici possono essere visibili ad occhio nudo come ad esempio delaminazione, bolle, incrinature, ingiallimenti, disallineamenti, corrosioni e ossidazioni. Questi difetti possono essere individuati facilmente con una foto/videocamera e sono spesso dovuti a condizioni ambientali ostili quali salsedine, grandine, neve, polvere, gas corrosivi. Altri difetti sono invece propriamente difetti di fabbricazione come ad esempio le “bave di lumaca” e le microrotture. Questi difetti sono quelli che maggiormente pregiudicano le prestazioni di un impianto e possono essere meglio ispezionabili con l’ausilio di sensori ottici avanzati e termocamere.
Testo redatto su fonte Politecnico di Milano del 17 giugno 2014
Per approfondimenti: Light Unmanned Aerial Vehicles (UAVs) for Cooperative Inspection of PV Plants – IEEE Journal of Photovoltaics | 10.06.2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
CONCENTRATORI SOLARI
Università di Milano-Bicocca: grazie a dispositivi in grado di catturare e concentrare la luce solare, lastre di plexiglass possono trasformarsi in generatori di energia pulita
13.04.2014
Testo dell’articolo
I concentratori solari luminescenti (LSC, Luminescent Solar Concentrators) sono dispositivi costituiti da una lastra plastica o vetrosa nella quale sono incorporate specie otticamente attive dette cromofori che assorbono parte della luce solare e la ri-emettono all’interno della lastra. La luce è quindi convogliata verso i bordi sfruttando il fenomeno della riflessione totale interna, così come avviene nelle fibre ottiche utilizzate nelle telecomunicazioni, dove è trasformata in energia elettrica da piccole celle solari poste lungo gli spigoli. Scegliendo in modo opportuno il grado di trasparenza ed il colore del dispositivo, è quindi possibile trasformare delle normali finestre in elementi fotovoltaici a tutti gli effetti senza sensibili aumenti di costo. Fino ad oggi non era possibile realizzare concentratori solari luminescenti di dimensioni sufficienti per un impiego in contesti reali (vetrate, serre, coperture trasparenti ecc…) a causa del fatto che cromofori standard, siano essi molecole o nanoparticelle, riassorbono gran parte della loro stessa fluorescenza. Questo processo noto come “ri-assorbimento” comporta che la luce emessa da un cromoforo sia ri-assorbita dal cromoforo successivo cosicché la sua intensità diminuisce progressivamente, fino ad azzerarsi, avvicinandosi al bordo della lastra.
La realizzazione di materiali privi di ri-assorbimento è quindi la sfida principale per l’affermazione di questa tecnologia. Nel lavoro, pubblicato su Nature Photonics nell’articolo “Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix“, realizzato grazie a finanziamenti della Fondazione Cariplo, della Comunità Europea e del Dipartimento dell’Energia Statunitense, gli scienziati hanno sviluppato una tecnica per incorporare nei concentratori plastici degli speciali cristalli colloidali di dimensioni di pochi milionesimi di millimetro. In questi nuovi nanomateriali, una particella funge da involucro per una seconda nanoparticella ancora più piccola, in una geometria che ricorda un nocciolo ricoperto dal suo guscio. “L’enorme vantaggio di questi sistemi – spiega Francesco Meinardi – è che permettono di disaccoppiare i processi di assorbimento e di emissione della luce: l’assorbimento avviene nel guscio che immediatamente trasferisce l’energia accumulata al nocciolo da cui avviene l’emissione luminosa”. Siccome il guscio è trasparente all’emissione del nocciolo, la fluorescenza può propagare senza perdite per distanze molto lunghe, permettendo di realizzare dispositivi di grandi dimensioni nell’ordine di migliaia di centimetri quadrati e quindi utilizzabili in contesti architettonici reali.
“Questa tecnologia – conclude Sergio Brovelli – di cui noi abbiamo fornito la prova di principio, è immediatamente scalabile per l’industria e può essere utilizzata nella green architecture e nella building sustainability. Con questi nano-materiali, non più soltanto i tetti ma tutte le parti di un edificio possono diventare pannelli solari, incluse finestre e facciate, favorendone l’auto-sostenibilità. Inoltre la possibilità di realizzare dispositivi di qualsiasi forma e colore offre nuove eccitanti opportunità nel design di elementi architettonici intelligenti”. (Image credit: Università di Milano-Bicocca)
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 13 aprile 2014
Per approfondimenti: Large-area luminescent solar concentrators based on ‘Stokes-shift-engineered’ nanocrystals in a mass-polymerized PMMA matrix – Nature Photonics | 13.04.2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
SOLARE TERMODINAMICO
Energia solare ad alta temperatura: l’ENEA sperimenta una nuova tecnologia che, grazie ad un innovativo componente, consente sia l’accumulo che il trasporto del calore
17.03.2014
Testo dell’articolo
Allo svolgimento dei test di sperimentazione, che hanno avuto luogo presso il Centro Ricerche ENEA di Casaccia, è venuta ad assistere anche una delegazione di ricercatori del Fraunhofer Institute (Germania), partner dell’ENEA per diversi progetti di ricerca europei, interessati allo sviluppo della tecnologia. Si tratta di un ulteriore progresso della tecnologia che ha consentito all’ENEA di sviluppare il “Progetto Archimede”, inizialmente diretto dal premio Nobel Carlo Rubbia, un sistema che riesce a concentrare, per mezzo di specchi parabolici, la luce diretta del sole su un tubo ricevitore. All’interno di questo tubo viene fatta circolare una miscela di sali fusi per trasportare l’energia solare che, una volta accumulata, viene utilizzata per produrre vapore e quindi energia elettrica.
Grazie a questa tecnologia tutta italiana per il solare ad alta temperatura si è potuta sviluppare e affermare a livello internazionale una filiera industriale nazionale per la produzione dei diversi componenti, che ha permesso la creazione di nuovi posti di lavoro e ha avuto ricadute significative sulla competitività del nostro sistema industriale.
Testo redatto su fonte ENEA del 17 marzo 2014
Image credit: German Aerospace Center (DLR)
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DA BIOMASSE
Energia dalla biomassa della canna: eccellente soluzione “low cost” per ricavare biogas a basso impatto ambientale, da utilizzare anche come biocarburante per veicoli
16.02.2014
Testo dell’articolo
Durante recenti analisi effettuate al Centro di Ricerca Interuniversitario Biomasse da Energia (CRIBE) di San Piero a Grado (Pisa) la canna ha fatto registrare un’elevata capacità di produrre metano, in particolare se soggetta al doppio raccolto durante l’anno e può quindi costituire un’interessante alternativa all’impiego del mais, coltura annuale molto usata nell’alimentazione dei “biodigestori” per la produzione di biogas, ma il cui impatto ambientale è decisamente superiore rispetto a quello della canna; soprattutto il mais viene usato per l’alimentazione animale ed umana. La canna appare particolarmente indicata per produrre biogas nell’area mediterranea perchè ha una grande potenzialità produttiva come biomassa per uso energetico ed è una specie “poliennale” e quindi resta produttiva per 10-15 anni. Richiede inoltre bassi input tecnici ed agronomici ed ha un’ottima adattabilità a terreni marginali. Non essendo utilizzata per l’alimentazione umana non sottrae terreno fertile per produrre cibo. L’analisi sperimentale del potenziale metanigeno, cioè generatore di metano, della biomassa della canna è stata effettuata presso il CRIBE dove tutte le prove di “digestione” sono state condotte in base allo standard di riferimento UNI EN ISO 11734:2004, attraverso un sistema statico a ciclo chiuso progettato e realizzato dai ricercatori, per riprodurre e per simulare le reazioni biochimiche che avvengono nei “digestori” su scala reale.! Il biogas è una filiera delle cosiddette “bioenergie” in crescente espansione tanto che in Italia, nel 2012, sono stati censiti 994 impianti per una potenza elettrica installata pari a 756 MWe, con un incremento rispetto al 2011 del 95%.
I ricercatori del Land Lab sotto la guida di Enrico Bonari – in particolare Giorgio Ragaglini, Nicoletta Nassi o Di Nasso, Cristiano Tozzini, Elisa Pellegrino, Federico Triana, Federico Dragoni, Neri Roncucci, Elisa Corneli – studiano da anni le possibili biomasse utilizzabili per produrre energia elettrica, termica e biocarburanti, ma il problema centrale resta in ogni caso la necessità di incrementare la sostenibilità delle filiere, in linea con gli obiettivi della Commissione europea ribaditi anche nel recente “pacchetto clima”, che prevede di ridurre del 40 per cento l’emissione di gas serra e di raggiungere la quota del 27 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili, entro il 2030. Il biogas è un biocombustibile gassoso che si ottiene da una fermentazione microbica, indicata anche come “digestione anaerobica”, della biomassa, che sia vegetale, animale e residuale, ed è costituito principalmente da biometano (50-70%) che è la vera sorgente energetica. Il prodotto della digestione microbica può essere utilizzato direttamente al posto dei combustibili fossili per produrre elettricità e calore, oppure per il contenuto in biometano che, isolato, può essere utilizzato come biocarburante per la rete dei trasporti o introdotto nella rete del gas naturale.
Un aspetto particolarmente interessante della filiera è che essa contribuisce al basso impatto del processo anche attraverso la possibilità di utilizzare il residuo della digestione anaerobica, il cosiddetto “digestato”, come fertilizzante organico. ! In parallelo i ricercatori del Land Lab dell’Istituto di Scienze della Vita del Sant’Anna, valutano la possibilità di utilizzare come substrati per la digestione anaerobica anche altre biomasse residuali, come le sanse, le vinacce, le buccette di pomodoro, i panelli di spremitura delle alghe, i materiali lignocellulosici, gli oli vegetali, i grassi animali, la carta da macero.. Tutti questi residui di diversi sistemi agro-industriali potrebbero infatti inserirsi nella filiera del biogas e costituire ulteriori fonti di reddito per sostenere l’intero sistema agro-alimentare italiano. “Obiettivo primario – spiegano i ricercatori – è soprattutto contribuire in maniera ‘sostenibile’ ed economicamente interessante al corretto sviluppo delle tecnologie energetiche alternative, nell’ambito di una crescente attenzione per la cosiddetta ‘green economy’ e per sviluppare un’agricoltura a ridotte emissioni di carbonio”.!
Testo redatto su fonte Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa del 13 febbraio 2014
Per approfondimenti: Suitability of giant reed (Arundo donax L.) for anaerobic digestion: Effect of harvest time and frequency on the biomethane yield potential – Bioresource Technology | 11.11.2013
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
Al via la seconda fase di test per il generatore R115, la macchina marina da 150 kW di Enel Green Power per la produzione di energia dalle onde marine
01.02.2014
Testo dell’articolo
Il nuovo generatore – ideato e costruito da 40South Energy – società tra le più innovative nel settore del marine energy a livello internazionale – per Enel Green Power, la società per le rinnovabili di Enel, leader di settore a livello mondiale, assicura una completa integrazione nell’ambiente marino e facilità di manutenzione. I generatori della famiglia R115, a regime, saranno in grado di produrre ciascuno circa 220 mila kWh all’anno, sufficienti a soddisfare i consumi di oltre 80 famiglie.
La prima fase di test ha confermato le performance attese dalla macchina in ambiente marino e l’estrema facilità di installazione, permettendo peraltro di identificare una serie di affinamenti mirati ad aumentarne la durabilità in mare. Forti dell’esperienza in campo, il lavoro prosegue per ottimizzare materiali e geometrie di funzionamento con l’obiettivo di installare nel prossimo futuro altre macchine della stessa classe nel Mediterraneo e in ambiente oceanico, in particolare in Cile e Usa.
Sulla base del successo ottenuto, EGP e 40South Energy hanno rafforzato la loro partnership tecnologica al fine di sviluppare, a cura di 40South Energy, un nuovo generatore marino di potenza nominale pari a 2 MW seguendo le logiche di funzionamento e mantenendo le caratteristiche essenziali del modello attualmente in test, forti del know how sviluppato sulla R115 e beneficiando anche dell’esperienza di EGP su Operation & Maintenance di macchine per la generazione rinnovabile in tutto il mondo.
Grazie all’installazione del primo dispositivo in grado di sfruttare i moti ondosi per la produzione di energia elettrica, si incrementa ulteriormente il già ampio spettro di tecnologie a disposizione di Enel Green Power – idroelettrico, solare, eolico, geotermico e biomasse – caratteristica che, insieme alla diversificazione geografica, fa della società italiana delle rinnovabili un unicum a livello mondiale. (Image credit: Enel Green Power)
Testo redatto su fonte ENEL GREEN POWER del 31 gennaio 2014
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
Progetto europeo PolyWEC: “Elastici” che sfruttano il moto ondoso diventano una dinamo subacquea per produrre energia elettrica a bassissimo costo
18.12.2013
Testo dell’articolo
La “chiave di volta” del progetto PolyWEC risiede in alcuni materiali, gli “elastomeri elettro attivi”, denominazione estremamente tecnica che indica i materiali usati e che già nel suono ricorda gli elastici. Gli “elastomeri” non sono altro che gomme, resistenti alla corrosione provocata dalle acque marine e disponibili a bassissimo costo. La particolarità sta nell’essere deformate dalle onde e nella capacità di convertire l’energia elastica in elettrica. L’obiettivo di PolyWEC è sviluppare “unità di conversione”, in pratica “generatori”, realizzati per intero da componenti in gomma leggeri e reperibili a prezzi estremamente contenuti. In questo modo sarà possibile produrre energia elettrica in maniera da rendere sostenibile l’investimento, anche nei mari caratterizzati da un moto ondoso non eccessivo com’è appunto il Mediterraneo. Il progetto PolyWEC sta mettendo a punto diverse configurazioni di “trasduttori ad elastomero elettroattivo”, i sistemi che permettono di convertire l’energia del mare in elettricità, pronti ad adattarsi a climi ondosi e a caratteristiche di fondale differenti, utilizzando anche nuovi materiali a base di gomma naturale, mentre gomme acriliche e siliconi sono analizzati e sintetizzati per migliorare le caratteristiche di efficienza dei generatori che saranno sviluppati e che saranno in grado di aumentare le loro prestazioni.
“PolyWEC – sottolineano i ricercatori Marco Fontana e Rocco Vertechy – ha un’impronta altamente multidisciplinare e coinvolge esperti le cui competenze oscillano dalla fluidodinamica delle onde, alla chimica molecolare, alla meccatronica. Il consorzio è capitanato dalla Scuola Superiore Sant’Anna ed è composto dal Wave Energy Center (WavEC) di Lisbona e dall’Università di Edimburgo, riconosciuti come due dei più importanti centri europei specializzati sulle tematiche collegate al ricavare energia delle onde del mare, insieme al Dipartimento di chimica molecolare del “Petru Poni Institute” di Iasi in Romania e all’azienda Selmar della Spezia, operante nel settore della nautica”.
Testo redatto su fonte Scuola Superiore Sant’Anna del 18 dicembre 2013
Per approfondimenti: www.polywec.org
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DAL MARE
Gli impianti dell’INSEAN del CNR partecipano al progetto europeo MARINET: sono tra i più grandi al mondo e dotati di sistemi di misura all’avanguardia
14.12.2013
Testo dell’articolo
Una parte dell’incontro è stata dedicata all’informazione e alla divulgazione con una visita degli impianti durante lo svolgimento di esperimenti su modelli di prototipi di generatori di energia. I modelli, in scala ma di grandi dimensioni, sono provati nelle situazioni di funzionamento e ambientali (onde, correnti, vento) in cui dovranno operare nella realtà.
Un video della rubrica ‘Colpo di scienza’ della webtv del CNR, mostra alcune immagini dell’INSEAN e del meeting. Il progetto MARINET è un’iniziativa dell’Unione Europea con un budget di circa 12 milioni, di cui 9 finanziati dall’UE, e terminerà nel 2015. Vi partecipano 29 partner di 11 nazioni europee oltre al Brasile, paese osservatore: per l’Italia il CNR, l’Università di Firenze e della Tuscia.
“MARINET – spiega il responsabile per l’INSEAN del progetto, Francesco Salvatore – è un progetto concreto che da la possibilità, altrimenti preclusa per gli elevati costi, alle piccole e medie imprese europee di studiare, validare e realizzare dei sistemi innovativi per l’estrazione dell’energia dal mare. Il progetto infatti permette loro di eseguire studi e sperimentazioni a costo zero presso i migliori impianti sperimentali messi a disposizione dai partner. Il know-how sviluppato viene poi messo in rete e diventa patrimonio di tutti”.
Nel Regno Unito, circa il 15-20% dell’attuale fabbisogno di elettricità potrebbe essere fornito dallo sfruttamento dell’energia marina (Fonte: Carbon trust, 2006). La Comunità Europea, a fronte di una stima di produzione di 3.6 gigawatt al 2020, si pone l’obiettivo di arrivare entro il 2050 a 188 gw, oltre 50 volte tanto, pari al 15% del consumo totale (fonte: Eu-Oea Roadmap 2010-2050).
“Nonostante questa importanza strategica – sottolinea il Direttore dell’INSEAN-CNR Emilio Campana – non c’è ancora uno standard condiviso per estrarre energia dal mare. A differenza di altri campi delle rinnovabili, come l’eolico dove si sono consolidati precisi sistemi di generazione dell’energia, in questo settore ci sono oggi un centinaio di idee e soluzioni diverse”. (Image credit: CNR)
Testo redatto su fonte CNR dell’11 dicembre 2013
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DA BIOMASSE
ISPRA: con un utilizzo sostenibile della biomassa, dalle foreste del territorio nazionale si possono ottenere 3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio l’anno
19.10.2013
Testo dell’articolo
Questi, in sintesi, i dati emersi oggi, nel corso della Conferenza nazionale “Quanta energia possiamo sottrarre dalle foreste senza ferirle? Il caso del Lazio”, in corso oggi a Roma presso la Regione Lazio e organizzata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), in collaborazione con la Regione Lazio, per presentare i risultati del progetto UE Proforbiomed, finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) della Commissione Europea, all’interno del programma MED “Improving of the energy efficiency and promotion of renewable energy sources”, a cui ISPRA partecipa come partner.
Le foreste sono alla base della ricchezza di biodiversità del nostro Paese (ricettacolo di quasi metà del numero di specie animali e vegetali dell’intera UE) e da millenni questa ricchezza di geni, di specie e di habitat offre alle comunità che hanno abitato e abitano la penisola e le isole, una serie di beni e servizi – ora conosciuti con l’espressione ‘servizi ecosistemici’ – che comprendono il contenimento dell’erosione, delle piene e delle frane, l’infiltrazione delle acque e la funzione di ritenzione, la regolazione del clima locale, la mitigazione dei cambiamenti climatici, ma anche la tutela di valori spirituali, storici, didattico-scientifici, ricreativi e turistici e, non ultimo, la fornitura di prodotti legnosi (per l’industria e per fini energetici) e non legnosi (funghi, frutti di bosco, resine, aromi e medicinali.
L’Italia è il Paese UE con il minor rapporto tra legna prelevata e legna prodotta. Uno studio dell’ISPRA, svolto nell’ambito del progetto UE ‘Proforbiomed’, stima che dalle foreste nazionali (dal taglio di legna dei boschi cedui, dalla raccolta dei residui della cura e dei tagli delle fustaie, dal taglio di legna e dai filari), si possono ottenere 3 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) l’anno, senza ferire le foreste e mantenendo le necessarie misura di salvaguardia e protezione della biodiversità. Questa quantità è pari all’1,6% circa dei consumi energetici nazionali (che nel 2012 si sono attestati intorno a 178 milioni di TEP equivalenti, in lieve calo rispetto al 2011 per effetto della crisi economica). Le foreste del Lazio possono produrre quasi 220.000 TEP, l’1,8% del consumo regionale di energia. Lo studio ISPRA ha stimato anche che nel Lazio siano stati realizzati appena 80 ettari di piantagioni forestali di robinia, eucalipti e salici, con tagli periodici a turno breve (pochi anni), per produrre legna per energia. In linea teorica, nel Lazio sarebbero potenzialmente disponibili circa 640.000 ettari di aree agricole e pascoli abbandonati e degradati utilizzabili per questo genere di piantagioni. Nell’ipotesi concreta – sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico – di realizzare, 10.000 ettari di nuove colture forestali a ciclo breve, si potrebbero produrre 85.000 tonnellate di legna, in grado di alimentare 4 centrali da 1 MW.
La legna di provenienza forestale rappresenta una quota significativa del totale della bioenergia. Per bioenergia si intende l’energia derivante da diverse forme di biomassa: legna prelevata dai boschi, residui delle potatura di frutteti e colture erbacee, residui dell’industria del legno e dell’agro-industria. La bioenergia in Italia contribuisce per 5,2 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti al consumo interno lordo, una quantità che corrisponde a poco meno del 3% del totale. La bioenergia rimane tuttora una delle principali forme di energia rinnovabile. C’è da dire anche che le statistiche ufficiali sottostimano il contributo reale della bioenergia, perché ci sono molte tipologie di uso (dai consumi di legna da ardere nelle abitazioni agli impieghi di residui di lavorazione del legno nei processi industriali) di difficile registrazione statistica.
Proforbiomed intende promuovere l’uso della biomassa come fonte rinnovabili di energia, attraverso lo sviluppo di una strategia integrata di uso sostenibile della biomassa forestale nell’area mediterranea. Elementi chiave di questa strategia sono il recupero e la valorizzazione del potenziale di biomassa forestale inutilizzato e il coinvolgimento degli attori in qualche modo coinvolti nell’intera filiera, che va dalla gestione forestale all’uso finale dell’energia. Nell’ambito del consorzio, a cui partecipano 18 istituzioni, l’ISPRA svolge azioni riguardanti il monitoraggio degli impatti che l’utilizzo delle biomasse forestali e delle piantagioni legno energia possono arrecare alle biocenosi naturali.
Lo studio ISPRA suggerisce di perseguire lo sviluppo di filiere corte, integrate e su piccola scala, per la produzione e l’impiego di biomasse, poiché ciò potrebbe avere ricadute migliori sul piano della sostenibilità economica, ecologica e sul controllo sociale delle fonti energetiche e una riduzione dei costi ambientali legati al trasporto del combustibile biomassa legnosa.
Testo redatto su fonte ISPRA del 18 ottobre 2013
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata
ENERGIA DA BIOMASSE
Presentati all’ENEA i risultati delle sperimentazioni nell’ambito del Progetto VEROBIO per lo sfruttamento energetico da biomasse agroindustriali residue
20.09.2013
Testo dell’articolo
La finalità principale di V.E.R.O.BIO riguarda la fattibilità di accoppiare il processo di digestione anaerobica a un sistema di cogenerazione ad alta efficienza come le Celle a Combustibile a Carbonati Fusi (MCFC), per la trasformazione di alcune tipologie di biomasse di scarto in energia elettrica e termica. Le attività di ricerca hanno offerto informazioni inedite sui processi di co-digestione, sulla compatibilità del biogas prodotto con l’alimentazione di celle a combustibile a carbonati fusi e, viceversa, sulla possibilità di adattare le celle a una diversa qualità di combustibile. Lo studio ha inoltre fornito indicazioni sulla possibilità di riutilizzare il “digestato” anche a fini energetici e ha contribuito ad approfondire la conoscenza degli aspetti meno noti della microbiologia dei processi di digestione, mettendo in luce nuove informazioni sulla composizione delle comunità microbiche che governano le fasi chiave del processo.
Il progetto offre una soluzione al problema della gestione dei rifiuti e, contemporaneamente, supporta le azioni per rispondere alle richieste della Commissione Europea sull’incremento della quota di consumi energetici da fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2. Lo sviluppo di processi tecnologici innovativi, basati sulla multidisciplinarietà evidenzia come l’equilibrio tra ricerca di base e applicazioni tecnologiche possa favorire il raggiungimento degli obiettivi della sostenibilità ambientale nei processi di trasformazione e produzione.
Testo redatto su fonte ENEA del 19 settembre 2013
© Copyright ADEPRON – Riproduzione riservata